Il monte Bolza

Quella lunga isolata dorsale che chiude Campo Imperatore


Una piccola montagna dalle grandi soddisfazioni! Frase trita e consumata, ma adattissima al monte Bolza. E chi se lo aspettava? Se fosse lontana da questo altipiano godrebbe certamente di grande fama; le sue linee all’apparenza morbide, quasi priva di vie alpinistiche, lì da una parte a chiudere il catino di Campo Imperatore, forse un po’ isolata, e comunque obliata dai dirimpettai Prena e Camicia non la aiutano a farsi desiderare. Sono certo in molti, tutte le volte che abbiamo percorso la lunga fettuccia fino a Fonte Vetica, abbiamo guardato con una punta di desiderio quella lunga cresta e ci siamo ripromessi di salirla e percorrerla. Prima o poi ce la siamo ripromessa tutti, ne sono certo, ed il prima non arrivava mai, c’era sempre un pezzo del Gran Sasso che attirava di più, e finiva così per rimanere nel cappello dei desideri come una soluzione per quel giorno che non si aveva di meglio da fare; non so se per tutti, di certo lo è stato per me, il Bolza ha rappresentato per tanto tempo una sorta di seconda scelta, fino a quando non ci ho messo i piedi sopra. Abbiamo percorso la strada che dalla piana di Campo Imperatore scende a Santo Stefano di Sessanio, fino al poco marcato valico un paio di chilometri oltre il Rifugio Racollo, abbiamo parcheggiato l’auto su uno spiazzo a lato di un tornante e ci siamo inoltrati nelle praterie della Costa del Prato guidati solo da flebili tracce e dalla sagoma del Bolza che da qui appare davvero vicino. Ci rendiamo subito conto di stare a camminare su di un balcone affacciato su Campo Imperatore e sulla attigua piana del lago Racollo con una insolita, quasi nuova vista sul Gran Sasso, dirompente quella del tratto di cresta che va dalle Torri di Casanova al Camicia. Tra leggeri e dolci saliscendi sfiliamo nella prateria fino ad incontrare il lago di San Pietro dove si specchia la parete del Prena, sulla carta sembrava dover avere una dimensione ragguardevole, di fatto è poco più di una pozza d’acqua incastonata nel verde ormai autunnale delle gobbe di questo altipiano; siamo nel mezzo di morbide e ondulate praterie, intimo e bucolico paesaggio dove camminare sembra essere la cosa più logica al mondo, forse l’unica che valga la pena fare. Giriamo tra le dune aggirando il lago in direzione del Bolza sempre più vicino, non ci sono più le tracce di sentiero che si sono fermate al lago, scorriamo su piccole dorsali erbose per evitare di perdere quota puntando un’evidente omino su quella che sembra essere l’ultima leggera elevazione prima del nostro monte. Subito dopo siamo costretti a scendere di una cinquantina di metri, forse poco più, fino a raggiungere la strada brecciata poche centinaia di metri prima la fonte di San Cristoforo. Quì che inizia la salita al Bolza, per linee evidenti e logiche fino ad intercettare quella che sembra essere l’inizio della cresta, a tratti si materializza un sentiero preciso, in altri si sale a vista. Lo spigolo si interrompe su un primo pianoro dove svetta un omino di una sessantina di centimetri, poi riprende a salire su un tratto più ripido, misto tra erba e grosse rocce. Passaggi logici, quasi inevitabili, dove la salita è più ripida il sentiero riaffiora evidente, e intanto la vista sul Camicia è sempre più esaltante, praticamente si alza lì di fronte. Dura poco il piccolo strappo, quando inizia ad appianare si fa subito evidente l’omino della Cima di Monte Bolza, il punto più alto dell’intera dorsale. Nel frattempo ci ha raggiunto e superato Enrico, prima dell’ultimo strappo verso la cima avevamo notato quattro escursionisti ancora sulla strada, Enrico era con loro, si è avvicinato con una rapidità sconvolgente, ed è arrivato in cima prima di noi. E vabbè che è un Ascolano (questo fa piacere e inorgoglisce Marina e quindi va detto), e vabbè che è famoso per il ritmo che tiene in salita, e vabbè che noi eravamo particolarmente lenti presi a goderci il panorama e a fare foto, ma vabbè che vabbè, ammazza quanto corre Enrico!!! In vetta alla Cima del Monte Bolza si ha l’obbligo di fermarsi un momento, il panorama è sempre lo stesso che si è goduto lungo il tragitto, ma da qui tutto sembra allargarsi ulteriormente, sugli Appennini non c’è posto più bello di Campo Imperatore e da questa cima più che dalle altre del Gran Sasso si ha la sensazione di dominare tutto. Anche da così lontano quello scoglio immane del Corno Grande laggiù in fondo, è imponente, come tutta la cresta Est, “il centenario”, che appare lunghissima sinuosa e come dico spesso perché così appare, rugosa; è più facile da qui capire perché questo altipiano sia stato rinominato il piccolo Tibet, come è anche facile capire perché ci si siano stati girati molti film del genere western all’italiana. Senza grossi dislivelli il sentiero continua in cresta, il monte Bolza che da il nome al comprensorio e che è di pochi metri più bassa della cima omonima che abbiamo appena superato, si alza giù in fondo, su una dorsale che scorre quasi parallela alla prima. La morfologia di questa montagna è strana, disposta da Nord-Est verso Sud-Ovst è composta da due creste distinte che si inseguono su due linee quasi parallele, in mezzo una ampia sella le unisce e sancisce la fine della prima e l’inizio della seconda. Sul balzo roccioso che chiude il primo tratto di cresta, a meno di un chilometro dalla vetta principale, raggiungiamo Enrico, che nel frattempo è beatamente rilassato in attesa del serrate le fila del resto del gruppo. Attendiamo chi è dietro e poco dopo veniamo raggiunti da Luciano, Tiziana e Valeria, un incontro tanto inatteso e non previsto quanto piacevole. Sono amicizie di quando Marina andava per montagne con gli ascolani, persone che sono entrate nella mia sfera di amicizie non solo montanare e che della montagna sanno cogliere e restituire gli aspetti più belli, leggeri e passionali. Per Marina è piacevole ritrovare il suono della cadenza ascolana, ritrovarsi in montagna con vecchi amici, non se lo sarebbe mai aspettato quando abbiamo scelto questa piccola montagna come obiettivo di oggi; da lì in avanti continuiamo insieme, Enrico sempre avanti a battere il sentiero. Dallo sperone roccioso si cala sull’ampia sella erbosa sottostante, tra roccette ed erba alta ognuno scende con la propria traiettoria per andare a riprendere la successiva cresta che culminerà con il monte Bolza, che da qui appare come un roccioso sbalzo che precipita verticale sulla valle sottostante. La dorsale si rialza lentamente, continua con leggeri saliscendi, molto aerea e sempre molto ampia gode verso Ovest di panorami confusi nella caligine; Il Sirente è un lungo muro scuro e indistinto, la piccola piramide del Velino è inconfondibile col suo pallore mentre i profili di Rocca Calascio, molto più vicini, si distinguono davvero poco persi nell’umidità dell’aria. I fianchi della nostra montagna scendono ora ripidi ora morbidi verso un insieme multicolore di appezzamenti ordinati di piccoli campi rubati alla pietraia. Ad Ovest invece l’orizzonte è pulito, l’imponenza del Camicia è una presenza costante ed ingombrante, interessante si va facendo il sinuoso percorso del canyon dello Scoppaturo che lentamente si defila a valle prima della piana di Campo Imperatore. Sulla piana si esaltano nella luce calda di questa giornata autunnale le desertiche fiumane di sabbia che scendono dal Prena e dal Camicia che nel frattempo vengono lentamente sovrastati e superati da scure nuvolaglie. Il percorso dell’ultima parte di cresta verso Sud è ancora più interessante, siamo ormai prossimi al monte Bolza vero e proprio; la dorsale erbosa lascia il posto ad un misto di grosse rocce levigate che si sovrastano le une alle altre contribuendo a far diventare il percorso quasi un labirinto; dove la cresta si restringe le rocce diventano delle vere e proprie torri, dei balzi che a volte si fanno aggirare mentre altre si debbono attraversare alla ricerca del passaggio quasi mai certo. Mancano segnavia e la cosa rende il percorso in cresta ancora più divertente, Enrico che guida la fila in qualche occasione deve ritornare sui propri passi per cercare passaggi più semplici e più protetti. Sottili tracce di sentiero aggirano a volte le torri rocciose, traversando canali erbosi ripidi e bagnati, oppure si aggrovigliano tra le rocce levigate fino a sbucare in qualche scivolo sottile e magari esposto; Luciano ci racconta che su questo percorso a breve è prevista una delle prime uscite di quest’anno del corso di escursionismo avanzato del CAI di Ascoli. Se non mi stessi guadagnando questa montagna metro dopo metro e sempre col massimo impegno e rispetto non avrei scommesso un euro sulle sue difficoltà escursionistiche e sulle sue qualità di vera e propria palestra. La vetta del monte Bolza, come abbiamo detto di pochi metri più bassa della sua Cima dall’altra parte della lunga cresta, si fa raggiungere dopo una lunga serie di piccole conquiste, di saliscendi tra selle erbose e rocce. Divertente ed entusiasmante, mai troppo impegnativa è da prendere sempre con cautela; è in grado di far diventare un’escursione una questione quasi seria e di certo regala molto al bagaglio di esperienza tecnica. In vetta ci accoglie un piccolo spiazzo dove finalmente possiamo stenderci e “cazzeggiare” un po’ e dove consumiamo la solita bisboccia da mezza escursione ed il consueto rito delle foto ricordo; ci siamo però anche resi conto di aver decisamente sottovalutato la “corta” dorsale del Bolza, siamo andati lenti e si era fatta l’una. Il ritardo sulla tabella di marcia unita al fatto che le nuvole che fino a quel momento ristagnavano ad Est erano riuscite ad oltrepassare la muraglia delle montagne e si stavano incupendo e facendo minacciose ci hanno costretto a riprendere la via del rientro con una certa solerzia. Dalla vetta non era evidente come continuare la discesa, intorno tutto sembrava ripido e precipitare; una cinquantina di metri sotto, su un tratto di dorsale in piano una flebile “pedicalora” (termine ascolano per indicare una piccola traccia) si intuiva tra l’erba alta per cui la direzione era tracciata, rimaneva da capire come arrivarci. Ad Ovest della vetta uno scivolo erboso tra delle rocce sembrava suggerire la discesa, l’abbiamo imboccato ma dopo essere calati una trentina di metri ci siamo dovuti arrendere, un tentativo più a sinistra poi più a destra, sempre ci siamo trovati la strada sbarrata dal vuoto. Risaliti abbiamo trovato la via di discesa dall’altra parte, a sinistra della vetta, verso Est, dopo un tratto poco marcato la ripida discesa prendeva i connotati di un quasi vero sentiero, “sgarrupato”, ripido, a tratti anche leggermente esposto, traversando un pochino siamo arrivati al piano che vedevamo dall’alto. Già da appena sotto non si intuiva la traccia che avevamo disceso, la vetta del Bolza appariva come un torrione, verticale ad Ovest, un po’ più appoggiato a Sud, dove siamo scesi e di nuovo verticale ad Est; tra rocce levigate e sporgenti, cengie erbose e canalini che sembravano di scolo si intuiva appena il ripido filo di sentiero utilizzato; le relazioni parlano di bolli giallo rossi sbiaditi che segnano il percorso in quell’intrico di rocce, io non ne ho visto manco l’ombra, parlano di alcuni tratti di primo grado da salire usando le mani e di questi ne ho visti davvero tanti, in ogni caso è stato molto più semplice scendere di quanto la vista del torrione faccia supporre. Una volta calati dal ripido torrione, quello che rimaneva da scendere era solo un lungo brecciaio scomposto, fino al piano, quello che sulle carte compare come Guado della Montagna; senza un sentiero marcato, ognuno con le proprie linee, siamo scesi tendendo ad Ovest, verso Castel Del Monte. Lunga è stata la discesa fino ad intercettare il sentiero che aggira la montagna e che si vedeva bene dall’alto; le impressioni su queste piane sono false, le distanze così vaste falsano le dimensioni e ciò che ti sembra poca cosa diventa comunque impegno in fatica e tempo. Una volta giù non rimaneva che prendere ad Est e seguire la traccia che continua più o meno in piano e questa volta ben segnalata; sarebbe stato bello scendere dentro lo Scoppaturo ma il tempo era passato troppo velocemente e considerando anche il fatto che da qualche parte saremmo dovuti andare in cerca di una trattoria per sfamarci, non ne rimaneva poi tanto. Le vie del ritorno sono sempre meste, questa mezza costa ormai non ci riservava più soprese, le montagne davanti, per quanto belle, erano le stesse di tutta la mattinata e nemmeno si riuscivano a vedere più, tanto erano coperte dalle nuvole ormai basse. Con passo sostenuto abbiamo superato tutte le dorsali che scendono dall’alto, aggirata la mole della vetta rocciosa la cresta fino alla piana sembrava non dover finire mai, anche la strada che scorre sulla piana era lontanissima, i pensieri correvano a tutte le volte che abbiamo visto sfilare il Bolza dai sedili delle macchine, sembrava così graziosa e minuta questa “montagnetta”, come faceva ora a farci faticare così tanto? Il motivo è sempre quello, a Campo Imperatore le dimensioni visive sono false. Abbiamo superato dei laghetti di scolo molto scenografici, sfilato sopra lo Scoppaturo, superato una carcassa di una mucca ed una fila di escursionisti che ad ora già pomeridiana salivano sulla nostra montagna fino a raggiungere la fonte Zorlana, sulla brecciata che risaliva ad aggirare la Cima del Bolza. Sono iniziati i calcoli, i nostri amici avevano parcheggiato di fronte al rifugio di Lago Racollo, noi più in alto, su una sella oltre la quale si scende a Santo Stefano di Sessanio; loro in piano, noi a dover rifare salite, non ce lo siamo fatti ripetere, le offerte gentili non si rifiutano mai, abbiamo continuato in piano fino alla prima auto, quella loro, gli uomini velocemente e le donne dietro; un prezioso passaggio e abbiamo recuperato la mia auto per poi ritrovarci tutti a valle. Mentre si alzava un vento fastidioso e freddino e le nuvole si scurivano minacciando il peggio si era fatto Il tempo dei saluti; per l’improvvisata compagnia era arrivato il momento di dividersi. Come da programma a noi aspettava una trattoria, ormai vista l’ora avanzata del pomeriggio solo la consolidata trattoria di Filetto poteva accoglierci, poi, un lungo rientro a Roma; a loro invece attendeva la festa della Montagna all’Aquila. I saluti assumevano i toni di un arrivederci, troppo bella è stata la giornata con i nostri amici ascolani per non prospettare una nuova esperienza insieme. Raggiungiamo Filetto chiacchierando, congratulandoci per la bellissima giornata di montagna e per la piacevolezza del bell’incontro; per fortuna ci assicurano un posto a tavola nonostante in trattoria non ci fossero avventori. Il tempo di ordinare e di sistemarci a tavola che veniamo raggiunti dai nostri compagni di escursione che hanno nel frattempo rivisto l’organizzazione della giornata. La festa poteva continuare, tavoli vicini ed una trattoria tutta per noi, ancora un po’ di “cazzeggio”, un po’ di vernacolo e gli ultimi aggiornamenti sugli accadimenti ascolani; Marina che non poteva immaginare di poter condividere una giornata intera con persone amiche da sempre, non pensava più nemmeno al suo mal di schiena, davvero messa a dura prova dai 13 chilometri percorsi e dai poco più di seicento metri di dislivello, non poteva finire davvero meglio questa leggera giornata. Anche il rientro a Roma, meglio dire ad Aprilia è sembrato meno lungo e pesante, salvo il nostro amico Giorgio, conosciamo nessuno come i gli ascolani, altri oggi non erano con noi, che sanno vivere la montagna con la leggerezza e gioia che ho avvertito oggi.